Mendrisiotto e Leventina rivendichino pure, ma dirigano i loro appetiti verso chi ha avuto più di quanto non gli spettasse (e non è Locarno)

Mendrisio che si sente trascurata e contesta il fatto che Locarno, il cui peso in termini di popolazione è simile, sieda al tavolo delle “grandi”, lo stesso capoluogo “momò” che, con Chiasso, pretende collegamenti ferroviari col resto della Svizzera per lo meno altrettanto frequenti di quelli che da dicembre saranno garantiti tra la regina del Verbano e i grandi centri dell’Altopiano, la Leventina, con irritanti appoggi esterni, che insiste con rinnovata veemenza sul trasloco del Museo di storia naturale a Faido, che invece il Consiglio di Stato ha opportunamente deciso di sistemare nel comparto di Santa Caterina, sono temi cavalcati con preoccupante insistenza in concomitanza con la campagna per le comunali di aprile. C’è, insomma, chi vorrebbe rimettere tutto in discussione, proprio ora che la città del Pardo sta per ottenere qualcosa di concreto da cantone e confederazione/FFS, dopo tanto tergiversare e tante vane promesse (“Locarno sarà il polo culturale del Ticino”, sì ma senza facoltà universitarie, sì ma senza museo del territorio; “Avrà il collegamento autostradale”, impegno preso già alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso con l’esito ben noto; “Non perderà gli enti che già vi sono insediati”, salvo -per dirne qualcuno- tutte le istituzioni giudiziarie, tribunale d’appello compreso, l’ufficio degli stranieri, l’istituto patologico e quello citologico, di cui periodicamente viene annunciato il trasferimento in località “più centrale”, e ci pare di subodorare quale).

Sarà allora il caso, visto che la si mette anche su questo piano, di rammentare che, se è vero che Locarno ha poco più di 16’000 abitanti (16’132 secondo l’aggiornamento ufficiale del 14 gennaio 2020) -già così pur sempre un migliaio in più rispetto all’ex “magnifico borgo”- l’agglomerato, senza quindi contare il Gambarogno e le valli, ne conta 55’000 e oltre (in proposito si consulti l’annuario statistico svizzero), ciò che ne fa, indiscutibilmente, il secondo del territorio. Non fosse sufficiente come argomento, vale la pena sottolineare che, storicamente, Locarno ha sempre trattato da pari a pari (basti ricordare l’epoca della capitale itinerante) con le altre località principali, e solo le recenti fusioni (o quelle mancate!) hanno mutato gli equilibri. Ciò non di meno sin dalla metà dell’Ottocento ha dignità di comune eminentemente urbano, come attestano tessuto e struttura dei quartieri, che non sono, fatta salva un’eccezione, dei villaggi aggregati. Per non dire dei flussi turistici, che ne fanno la destinazione più importante (il confutato -da Mendrisio- invito di Zurigo si giustificherebbe anche solo per questa ragione).

Detto del diritto di far parte per meriti demografici del consesso dei centri maggiori, veniamo a quello di poter essere sede del Museo di storia naturale. I vantaggi del sito prescelto, paragonandolo agli altri presi in considerazione, sono già stati ampiamente messi in luce dagli esperti così incaricati dal Governo. Ma c’è un altro aspetto, almeno altrettanto importante: ai tempi in cui, per celebrare degnamente i 150 anni della nascita del cantone, si decise chi avrebbe avuto cosa, a Locarno fu assegnato il Museo d’archeologia; stiamo parlando del marzo del 1953, ovvero di quando il Gran Consiglio si espresse in tal senso. Naturalmente, mentre altrove, alacremente, si realizzava, in riva al Verbano, more solito, si restava allo stadio di pio desiderio, e non per colpa dell’amministrazione locale. E’ quindi anche una questione di parità di trattamento (meglio tardi che mai) quanto ora finalmente si pensa di trasferire nell’isolato compreso tra Via Santa Caterina, Via delle Monache e Contrada Cappuccini, pregevole, sufficientemente ampio e centralissimo, a poche decine di metri com’è dalla stazione e dalle fermate di tutte le linee dei trasporti pubblici. A corollario si aggiungerà che la prima sede della collezione di minerali di Luigi Lavizzari, dell’erbario di Alberto Franzoni e di quello di Agostino Daldini, che costituiscono il nucleo primigenio di quel patrimonio, furono inizialmente -si parla del secondo decennio del Novecento- ospitati nelle sale del Castello Visconteo. Una sorta, quindi, di giusto ritorno alle origini.

Written by zampatedipardo

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