Mancano pochi giorni alla riapertura di Casorella, magnifica nella sua veste di scrigno delle collezioni d’arte cittadine. Non si poteva chiedere di meglio (per il momento). Quando sarà completata l’attualmente solo pianificata ristrutturazione dell’attiguo castello e quando le mostre permanenti, in primis quella unica e raffinata di vetri romani, che ospita saranno allestite secondo i criteri più moderni, disporremo di un polo museale degno del ruolo di centro culturale cantonale che il pianificatore ha voluto, ormai decenni fa, assegnare a Locarno.

Un mosaico a cui s’aggiunge sin d’ora Casa Rusca, la pinacoteca civica i cui armoniosi spazi sono opportunamente riservati alle esposizioni temporanee. Ulteriore tessera di questo insieme, sempre più organico e ragionato, sarà il museo di storia naturale, previsto nell’ampio complesso di Santa Caterina.

Come sono lontani i tempi delle anguste aulette -poche decine di metri quadrati per gli erbari di Alberto Franzoni e di padre Agostino Daldini, la serie di cristalli donata da Luigi Lavizzari, la raccolta di avifauna imbalsamata del locale sodalizio ornitologico, il nucleo iniziale di reperti archeologici e numismatici assemblato da Emilio Balli- riservate alla bisogna nel vecchio palazzo scolastico di Piazza Castello, ora prestigioso (massì, diciamolo: pre-sti-gio-so!) Palacinema. Anni luce.

Eppure non siamo ancora contenti. Vogliamo di più, perché l’appetito vien mangiando e l’occasione è ghiotta.

Di quale occasione parliamo? Di quella offerta dalla chiusura, già risalente al 2017, dello Schlosshotel, troppo vetusto e bisognoso di cure per pensare a un rilancio. Essendo la demolizione impensabile, considerato il contesto, non è che allora, magari, i proprietari sarebbero disposti a discutere della vendita al comune della parcella? E siccome ci piace fantasticare, non è che forse, per amor di patria, sarebbero pure propensi a non guadagnarci troppo?

Avremmo allora un edificio di cinque piani (senza contare scantinati, mansarde e ampio giardino), contiguo agli altri, a disposizione per futuri ampliamenti. Una dilatazione che potrebbe rendersi necessaria se -ipotesi- le varie fondazioni dedicate ad artisti operanti nella regione concedessero qualche loro opera in prestito (le tanto strombazzate sinergie) oppure se le autorità concretizzassero il suggerimento d’acquistare sistematicamente un “ricordino” d’ogni maestro che dalle parti di Piazza Sant’Antonio sia transitato (tra gli ultimi Sandro Chia, Robert Indiana, Javier Marin, Mimmo Rotella, Hans Erni: di che impreziosire ulteriormente, rimpinguandolo, un patrimonio già notevole, insomma) o, infine, e meglio ancora, se queste stesse personalità (vale pure per gli eredi) compissero un “nobile gesto”, lasciando di loro sponte, magari perché colpiti dall’amichevole accoglienza ovvero perché affascinati dai luoghi, qualche testimonianza del loro lavoro (ai tempi funzionava).

E’ troppo? Tutto sommato non ci pare. Grandi sognatori hanno visto compiersi le loro utopie, perfino dalle nostre parti. E’ inoltre ampiamente dimostrato che “con la cultura si mangia”, eccome; lo si chieda, ad esempio, ai molti che beneficiano dell’indotto del Festival. Festival che oggi è una macchina ciclopica rispetto agli inzi, perché guidata da persone giustamente ambiziose, che non vuol dire -si badi- temerarie.

Chissà cosa ne penserebbe il succitato Emilio Balli, primo curatore, a titolo volontario, di una benemerita istituzione cui si volle dar faticosamente vita all’alba del secolo scorso e che ora, 119 anni dopo, pare finalmente aver spiccato il suo elegante volo?

*Tanto per scimmiottare i provinciali che s’illudono di far tendenza seminando acronimi più o meno azzeccati

Written by zampatedipardo

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