Solduno cresce, cresce e cresce ancora. A vista d’occhio. A facilitare l’incredibile dilatazione del quartiere erano già stati i funzionari e gli archeologi occupatisi delle tombe dell’età del bronzo rinvenute nei pressi della chiesa di San Giovanni Battista, molte delle quali, come hanno dimostrato anche gli scavi più recenti, si trovano nel rione di Campagna. E’ uno sbaglio, quindi, parlare di necropoli di Solduno invece che del Passetto, perché così si chiama l’area in questione. Una veniale invasione di campo che però, con l’andar del tempo, ha assunto proporzioni allarmanti. Ci s’accorge così (La Rivista del mese di maggio) che il posteggio FART, sito sul sedime della demolita stazione di Sant’Antonio, si trova a Solduno; Solduno che quindi, fagocitato l’intero quartiere di Campagna, confina ormai con la Città Vecchia. Un andazzo favorito dalla stessa azienda dei trasporti pubblici che, errando anch’essa, ha denominato le fermate comprese tra Via in Selva e Via Alberto Vigizzi facendole precedere da un roboante quanto inesatto (almeno per due di esse) “Solduno”. Ora, che, come certe popolazioni galliche, i fieri e irriducibili soldunesi, a poco meno di 90 anni dalla fusione, fatichino a riconoscersi come parte integrante della città, è un dato di fatto, ma che il loro territorio sia ormai arrivato alle porte di Piazza Grande (una nemesi storica) infastidisce noi pignoli e puristi.

Per non parlare di quanto succede ai confini comunali. E così si scopre, leggendo qua e là gli articoli della poco informata e distratta stampa, prevalentemente sottocenerina, ma non solo, che l’intero Castello del Sole, le Case Orelli, l’albergo Delta e il campo di calcio dell’Ascona, tacendo degli argini, ricadono sotto la giurisdizione del borgo; che il Carmelo di San Giuseppe si trova a Orselina (Giornale del Popolo del 17 maggio) invece che ai Monti della Trinità; che l’area di Riazzino, appartiene, a seconda delle fonti, a Gordola, Lavertezzo o Cugnasco-Gerra, quando invece tutto quel che sta a sud della strada cantonale, dal cavalcavia del Carcale al torrente Riarena, linea ferroviaria e relativa fermata incluse, è a pieno titolo di spettanza locarnese. E che dire poi dell’aeroporto, che con Magadino non ha mai avuto a che fare, nemmeno quando il paesello al di là del Ticino non era ancora frazione di Gambarogno? E non s’insiterà oltre con gli esempi (Ponte Brolla, che diventa, a seconda dell’aria che tira, comune autonomo, appendice di Terre di Pedemonte o di Avegno-Gordevio; ma anche Cardada/Colmanicchio e altri casi meno eclatanti)

Fa specie, insomma, constatare che per molti –gli stessi i quali poi sono pronti a puntualizzare che il santuario della Madonna del Sasso, nonostante si trovi a picco sulla Città Vecchia, sia orselinese e che la stazione sia muraltese (vezzo recente, quest’ultimo, poiché prima dell’ultimo decennio nessuno si sognava di definirla altrimenti che di Locarno!)- per molti –si diceva- i limiti cittadini si estendano ormai poco oltre il perimetro compreso tra la Ramogna (quando va bene) e il castello. I cartelli blu posati piuttosto a casaccio dal cantone di certo non aiutano: vedansi quello che indica un “Riazzino/comune di Lavertezzo” sistemato nei pressi della Polivideo o quelli che ti dirigono a Locarno (non a Locarno-centro) quando a Locarno si è entrati già da diversi chilometri (all’incrocio di Piazza Alberto Vigizzi, per dirne uno); un po’ come segnalare in che direzione andare per raggiungere Roma quando si è ai piedi del Colosseo.  E le autorità comunali? Tacciono. Eppure è anche questa mancanza di senso d’appartenenza a ostacolare un’aggregazione che sarebbe salvifica per l’intero agglomerato. Lo si capirà quando oramai anche l’ultimo bue sarà fuggito dalla stalla.

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Written by traminnumarsett

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